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giovedì 21 agosto 2014

Un sistema di gioco per la Terra di Mezzo

Sarà la copertina illustrata da Angus McBride,
o forse sarà soltanto la nostalgia... ma MERP
avrà sempre un posto nel mio cuore!
Riprendo il discorso iniziato qui.
Il consiglio di Mauro, vale a dire utilizzare L’Unico Anello, o comunque le avventure per esso pubblicate, non è affatto da scartare. Devo però ammettere che L’Unico Anello, pur essendo un ottimo gioco, splendidamente illustrato e mirabilmente evocativo, non è riuscito a convincermi del tutto; le idee d’avventura che contiene, invece, mi sono state in passato di grande aiuto per il mio tentativo di combinare Tolkien e The Burning Wheel: un’esperienza davvero molto interessante. The Burning Wheel, del resto, è a sua volta un sistema dalle potenzialità enormi; non facile da giocare, però, e bisognoso di parecchia pratica pima di essere padroneggiato.

Uno dei motivi per cui L’Unico Anello non fa al caso mio è la mia predilezione per i sistemi più “simulazionisti” (in mancanza di un termine migliore che raggruppi i giochi privi di meccanismi narrativi), siano essi semplici o meno: da OD&D a Rolemaster, per intenderci. È possibile, anzi: probabile! che questa preferenza venga dalla mia formazione ludica. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui acquistai la scatola di MERP (anche perché avevo allora l’abitudine di annotare sui manuali dove li avessi comprati: «Acquistato a Genova da Life Model martedì 7 luglio 1987. Prezzo: Lire 38.000» recita la scritta sotto il disegno di Gandalf), e pur essendo perfettamente consapevole dell’inadeguatezza del gioco nell’evocazione della materia tolkieniana ne subisco ancora il fascino. Non è poi un caso che uno dei miei sistemi preferiti sia Rolemaster, fratello maggiore di MERP e tutto sommato mio candidato di punta come sistema di gioco per la Terra di Mezzo.

Ecco: l’ho scritto. Se dovessi giocare nella Terra di Mezzo sceglierei Rolemaster. Ci sarebbe del lavoro da fare, naturalmente, ma a mio avviso l’afflato tolkieniano non sta né nella rimozione dei maghi come personaggi giocanti né nella limitazione della magia in generale. I parametri sono per me quelli che ho elencato nel mio post precedente, e che vorrei, in caso si riuscisse davvero ad iniziare una campagna, sostenere attraverso l’interpretazione anziché attraverso le regole.


Ora che ci penso: chissà se qui in Germania trovo qualche giocatore che abbia voglia di fare da cavia? Vale senz’altro la pena di provarci!

giovedì 31 luglio 2014

Perché non nella Terra di Mezzo?

Eppure ci ho provato.
Pur non essendo un esperto in materia tolkieniana ho letto quasi tutto ciò che il Professore ha scritto, e naturalmente alcuni lavori (Hobbit, Signore degli anelli, Silmarillion) me li sono gustati molte volte, solitamente apprezzandoli un po’ di più ad ogni rilettura. E ad ogni rilettura mi sono inevitabilmente detto: «Come sarebbe bello giocare di ruolo nella Terra di Mezzo!»
Più facile a dirsi che a farsi, però, quantomeno per me.
Ci provai la prima volta con MERP: ero un ragazzino, e giocavo a MERP come a D&D (con esiti decisamente insoddisfacenti). Quanto all’ambientazione, poi, mi ero inventato tutta una storia che aveva luogo alla fine della Terza Era intorno al Mare di Rhûn, artifizio grazie al quale mi ero sostanzialmente svincolato dalla trama della Trilogia. E perdendo i riferimenti a quest’ultima avevo reciso ogni legame tra la mia campagna e il mondo descritto da Tolkien!
Ci sono stati altri tentativi, ovviamente, anche in anni recenti. Sia L’Unico Anello che The Burning Wheel (sul cui forum ho trovato avvincenti resoconti di campagne ambientate nella Terra di Mezzo: segno questo che è possibile giocarci!) sono ottimi sistemi che mi hanno permesso qualche sperimentazione dalle parti del Bosco Atro, ma nulla più di ciò.
Avevo in passato fatto qualche pensiero su una campagna ambientata a Númenor subito prima della caduta: qualcosa di robusto e di epico, che, nella mia visione, avrebbe incluso anche la fuga sul continente assieme ad Elendil e ai suoi figli. Una robetta poco faraonica, insomma. Il pensiero non è mai nemmeno divenuto un progetto, ed è finito nel dimenticatoio assieme a tante altre idee più e meno interessanti.
Ora che ho ripreso in mano Il signore degli anelli, sentendo che è giunto il tempo di una rilettura, è anche tornata a fare capolino la solita domanda: come si potrebbe fare per ambientare una campagna nella Terra di Mezzo?

La difficoltà, nella mia esperienza, è duplice: da un lato occorre prendere le distanze dalle storie che dal Professore sono state scritte per esteso, ed entro le quali non c’è spazio per sviluppare nuove trame e accadimenti; dall’altro lato non ci si può allontanare troppo dalle medesime storie senza perdere le caratteristiche che rendono la Terra di Mezzo quell’ambientazione unica che è. Credo sia anche per questo motivo che diverse campagne delle quali ho letto sono state ambientate nella Seconda Era, ed altre addirittura nella Quarta Era. La mia idea di una campagna númenoreana, del resto (come pure quella di una campagna incentrata sulla caduta del Cardolan e sulla fine di Arnor, un’altra delle mie fissazioni), rispondeva proprio a queste esigenze.
Forse occorre mettere un po’ di ordine in testa prima di fantasticare nuovamente di avventure tolkieniane, e allora la prima domanda che mi pongo è: quali sono le caratteristiche che, applicate ai GDR (e con ciò intendo restare ben lontano da qualsiasi forma di critica letteraria), rendono unica la Terra di Mezzo?
Ne ho individuate alcune:
1.       Una netta distinzione tra bene a male. Esistono personaggi che ondeggiano tra l’uno e l’altro, ma i due concetti sono molto chiari e ben definiti.
2.       Il senso della giustizia. La hybris viene punita e chi compie il bene ne viene solitamente ricompensato.
3.       La tragedia. Più frequente forse nel Silmarillion (chi si scorda dei poveri figli di Húrin? Ma anche Thorin e i suoi non scherzano).
4.       L’afflato epico. Croce e delizia di ogni campagna.
5.       Il senso della meraviglia.
6.       Il senso di perdita. Il mondo cambia e il fascino dei giorni antichi è sempre più remoto. Nessuno riesce più ad eguagliare le opere e le imprese del passato.
7.       Gli elfi. Che non sono semplici umani con le orecchie a punta (a dire il vero di orecchie a punta Tolkien non parla proprio, che io sappia), bensì creature dalle grandi passioni e dal grande amore per la vita.
8.       Gli hobbit. Che non sono kender dai piedi pelosi (i kender! Quanto li detesto!). Trovo che Nepitello, nell’Unico Anello, li abbia ottimamente “tradotti” in termini di gioco, fornendoli di quel buon senso di cui così spesso fanno sfoggio nelle opere di Tolkien.
9.       La mancanza di “magia” alla D&D, sostituita da ben più affascinanti (dal punto di vista letterario) ma elusive (dal punto di vista ludico) capacità che appaiono “magiche” a chi ne è digiuno (un po’ come capita a Sam davanti allo specchio di Galadriel, insomma).

Ci saranno senza dubbio molte altre caratteristiche che ora non mi vengono in mente, ma questa lista potrebbe essere un buon punto di partenza. 

E il sistema di gioco? Ah, questo argomento me lo serbo per un prossimo post. Un’idea ce l’ho già, ma prima di scriverne voglio pensarci ancora un po’...

lunedì 28 aprile 2014

Chi ha paura della Vecchia Scuola?

Anche questa è una "vecchia scuola"!
Verso la fine di febbraio mi aveva contattato qui in Germania un giocatore che (parole sue) si era riconosciuto nel profilo da me pubblicato su un forum locale nella speranza di mettere su un gruppo nella città dove vivo attualmente. I tentativi di gioco precedenti non erano andati a buon fine: il Master in pectore, un collega, era troppo impegnato per cominciare davvero con le avventure, e così ci eravamo limitati a creare i personaggi. Stavolta, con due giocatori nuovi (quello che mi aveva contattato sul forum e la di lui compagna) e due del gruppo mai partito (entrambi miei colleghi) si era riusciti a trovare persino una data d’inizio della campagna, e siccome l’unico ad avere del materiale pronto ero io, avrei fatto io da Master. E fin qui tutto bene.
Mi sarei dovuto però accorgere subito che qualcosa non quadrava: i due nuovi arrivati mi fecero avere, dopo la prima sessione, i background dei loro personaggi: background interessanti, ma che fissavano degli obiettivi piuttosto al di là degli scopi della campagna (la quale era, nelle mie intenzioni, il medesimo Deserto di Cenere che già stavo giocando su Hangouts con i miei amici). Mi dissi però che sarei riuscito ad integrare in qualche modo il nuovo materiale pervenutomi con quanto avevo già progettato, e mi diedi da fare per trovare agganci d’avventure che coinvolgessero i personaggi facendo riferimento al loro background.
Per farla breve: dopo la quarta sessione l’atmosfera al tavolo di gioco non era delle migliori, e per ribadire la mia Weltanschauung ludica, nonché per trovare eventualmente una via di mezzo che mettesse tutti d’accordo, stilai un elenco delle mie preferenze in materia di gioco (tutto alquanto Vecchia Scuola, ovviamente), invitando i giocatori a fare altrettanto. Ebbi uno scambio di mail con i due nuovi, da cui venne fuori che loro si aspettavano una storia! Una storia!
Altro che la sacra libertà totale della Vecchia Scuola!
Era chiaro che non ci si era capiti (anche se il mio profilo sul forum parla molto chiaro), ma devo ammettere di esserci rimasto male: mi è dispiaciuto perdere due giocatori con i quali, gioco a parte, si andava davvero d’accordo, e ho cominciato a chiedermi se avrei dovuto essere fin da subito meno accomodante (avremmo tutti perso meno tempo, probabilmente, sempre che di tempo perso si possa parlare) oppure addirittura più accomodante, abbandonando (o rintuzzando) le mie propensioni OSR in favore di uno stile di gioco diverso.
Forse il mio errore è stato pensare che l’amata Vecchia Scuola potesse andare bene a tutti tout court, e quest’episodio mi ha fatto sorgere molti dubbi. Non sulla validità della Vecchia Scuola, che continuo a preferire agli altri stili di gioco, bensì sull’opportunità di proporla a giocatori che non condividano per essa la mia stessa passione.

Anche in conseguenza di ciò ho proposto un esperimento agli amici del Deserto di Cenere/Hangouts: giocare due sessioni di una campagna da me progettata cinque anni fa per un altro gruppo; a quei tempi non conoscevo la OSR, e lo stile delle mie avventure era più narrativo. Anziché D&D3.5, sistema adottato allora, ho optato per Reami Misteriosi (la mia personale versione di MERP/Rolemaster); abbiamo giocato due volte, e se non vado errato proseguiremo l’esperimento e accantoneremo, almeno per un po’, il Deserto di Cenere. Non mi lamento, sia ben chiaro: il sistema mi piace molto, la campagna è solida e soprattutto gioco con i miei amici.

Mi chiedo però se qui in Germania riuscirò prima o poi a portare avanti una campagna in stile Vecchia Scuola: si tratta di un’impresa più difficile di quanto pensassi... ma non occorre aggiungere che non mi arrenderò alle prime difficoltà, vero?

sabato 22 marzo 2014

Come ti limito il semiumano

Di nuovo a proposito di semiumani. Un anno è trascorso dal mio precedente post in merito, e non ho cambiato idea sulla necessità di introdurre una sorta di compensazione che non li renda così smaccatamente superiori ai poveri umani. Mi sono però ricreduto sulle limitazioni di livello. Prendendo spunto dalla composizione del gruppo, che nelle mie campagne non può contenere più semiumani che umani, ho pensato quindi ad una limitazione interamente basata sulla fortuna (e anche questo è a suo modo Vecchia scuola, no?).

Mi spiego: chiunque voglia interpretare un semiumano deve tirare 4 o più su 1d6. Se nel gruppo un semiumano c’è già, il risultato necessario diventa 5+; se ci sono già due o più semiumani, il risultato da fare è 6. È anche possibile in questo modo avere un gruppo di soli semiumani, ma trovo preferibile lasciare che siano i dadi a dare il verdetto definitivo. Ho cominciato ad applicare il sistema alla campagna in corso, e naturalmente occorrerà un po’ di tempo prima di poter giudicare se il tutto funziona o meno.

Anziché limitarne il livello (o potenziare i personaggi umani), insomma, ho preferito rendere più difficile l’accesso alle razze semiumane, lasciando poi loro totale libertà di progressione (fatti salvi i casi in cui è la classe stessa a prevedere barriere all’avanzamento, come avviene per esempio per i druidi e per gli assassini).


Pareri?

giovedì 6 febbraio 2014

Il dilemma del bardo

Se c’è una classe di personaggi con cui non mi sono ancora riuscito ad appacificare, quelli sono i bardi.
Intendiamoci: a me l’idea del bardo piace moltissimo, e dopo il paladino è, assieme al chierico (e forse anche prima del chierico) la mia “classe del cuore”. Non riesco però a trovare da nessuna parte una serie di regole che a mio avviso gli rendano pienamente giustizia. Nel Players Handbook di AD&D1e la classe del bardo è un pasticciaccio orrendo: occorre avere almeno 15 in Forza, Saggezza, Destrezza e Carisma (oltre a Intelligenza 12 o più e ad almeno 10 in Costituzione). L’aspirante bardo comincia la sua carriera come semplice guerriero; poi, tra il quinto e l’ottavo livello, passa a fare il ladro; infine, tra il quinto e il nono livello di ladro, può cominciare gli studi clericali sotto la tutela di un druido, e a quel punto è un bardo. È vero che i 10.001 punti esperienza necessari al raggiungimento del quinto livello di ladro si guadagnano in fretta, ma l’iter è lungo e complicato. Il bardo poi acquisisce incantesimi druidici, mantiene le capacità ladresche apprese in precedenza e ottiene poteri come ammaliare, riconoscere alcuni oggetti magici, alzare il morale dei seguaci, contrastare il canto di creature ostili e così via. Tutto ciò è molto bello, ma è anche terribilmente intricato.

La seconda edizione non viene in aiuto: qui almeno i bardi possono cominciare come tali già al primo livello, hanno abilità ladresche (ma perché i bardi devono essere dei mezzi ladri?? Questa non l’ho mai capita), conoscenze delle storie e delle leggende e capacità varie affini a quelle della 1e. Hanno anche accesso agli incantesimi dei maghi (non più dei druidi), ma se indossano armature l’uso della magia è loro precluso. Perché allora tra le armature a loro disposizione c’è perfino la cotta di maglia? Sarà che i bardi fanno uso della magia “più per divertire e farsi notare che per combattere” (AD&D2e, PH pag. 42), ma mi sembra proprio un controsenso (ho tralasciato qualcosa? Esperti della 2e, correggetemi se sbaglio!).

La soluzione adottata da OSRIC non è male: una lista d’incantesimi specifica (che comprende parecchie magie tratte dalle liste dei maghi e qualcosa da quelle dei druidi e degli illusionisti) che arriva fino al quinto livello di potere, niente abilità ladresche, capacità di conoscenza e di ammaliamento e così via. Le regole della classe, però, sono per me fin troppo complicate: già guardo con sospetto quelle degli assassini, che occupano un paio di facciate del manuale (e non parliamo dei monaci, che ho direttamente bandito dalle mie campagne).

Come fare allora? Forse potrebbe essere il momento di elaborare una mia personale visione della classe del bardo. Ci sono a questo proposito alcuni elementi dei quali non vorrei fare a meno:
·         Qualche capacità di combattimento (quelle dei ladri/assassini vanno benissimo, ma forse anche quelle dei chierici/druidi potrebbero essere adatte).
·         Qualche capacità magica (ottima la lista comprendente incantesimi d’illusionismo e druidici: secondo me questa è la strada giusta).
·         Armi limitate: sul PH sono indicati randello, pugnale, dardo, giavellotto, frombola, scimitarra, lancia, bastone e spada (“normale”, bastarda, lunga e corta). Ci aggiungerei l’arco corto e terrei l’elenco così com’è.
·         Armature medie. Cuoio, cuoio borchiato e cotta di maglia (elfica compresa) sono più che sufficienti. E nessuna penalità nell’utilizzare la magia indossandole.
·         Una capacità in percentuale, che aumenta con il livello, di leggere linguaggi sconosciuti.
·         Una capacità analoga di riconoscere gli oggetti magici.
·         Forse una capacità dello stesso tipo che permetta al bardo di alzare il morale dei seguaci.
·         Forse un piccolo bonus che il bardo conferisce agli alleati in caso di tiri salvezza contro effetti sonori stile canto delle arpie; il bonus potrebbe aumentare con il livello ed essere legato a qualche semplice condizione (semplice è per me la parola chiave).
Lascerei invece perdere robe come l’ammaliamento: è caratteristico del bardo, certo, ma a mio avviso complica inutilmente le cose. Meglio lasciare quest’effetto agli incantesimi.


Voilà. Come prima bozza potrebbe anche avere un senso. È ovvio però che ogni aiuto sarà il benvenuto!

martedì 4 febbraio 2014

Storie di frontiere

Il gioco di ruolo, così com’era rappresentato da D&D quarant’anni fa, sarebbe potuto nascere soltanto negli Stati Uniti d’America. Più conosco la Vecchia Scuola, più mi rendo conto di quanto l’idea di frontiera sia il fondamento del capostipite del nostro hobby (che a volte è un termine riduttivo, ma teniamoci sull’understatement); e solo una nazione in cui il mito della frontiera non si fosse ancora spento avrebbe potuto dare i natali ad un gioco la cui dimensione principale non è tanto la conquista dei tesori quanto la conquista di nuove terre (siano esse in superficie o nelle profondità del sottosuolo) e la loro “civilizzazione”.
Non ho intenzione di soffermarmi sulla storia degli USA, né formulare alcun giudizio in merito alla conquista del West. Nel bene o nel male, il mito della frontiera da colonizzare e dell’ignoto da esplorare sono la colonna portante delle varie discese nei dungeon e dei tanto amati sandbox. Del resto, non è forse il permesso di costruire un castello/torre/tempio fortificato ciò che corona il raggiungimento del famoso “livello del titolo” da parte dei personaggi?
Original D&D, pag. 6: “I guerrieri di alto livello (dal Lord in su) che costruiscono un castello vengono considerati “baroni”, e come tali possono fare investimenti nei loro possedimenti per aumentarne le entrate”. Ecco che la frontiera, conquistata e domata, diventa lentamente “terra civilizzata” e il confine si sposta un po’ più in là.

In Europa, dove le nostre frontiere sono ormai state da secoli ampiamente raggiunte, un simile presupposto non era possibile. Il maggior concorrente europeo di D&D negli anni ’80 era (sempre che non vada errato) Warhammer FRP, in cui il concetto di frontiera praticamente non esiste. Anzi: il fascino del gioco sta proprio nell’arrabattarsi per sopravvivere in una civiltà decadente, corrotta, marcia e amorale, rosa dall’interno (“The enemy within” è proprio il titolo della più famosa campagna pubblicata dalla GW a partire dal 1986) come dall’esterno da nemici implacabili e invincibili. Tutt’altra musica, insomma.
La frontiera di D&D è un luogo pericoloso e inospitale, ma anche disseminato di rovine (e tesori!) appartenenti ad antiche civiltà scomparse, e ora popolate da mostri e creature perlopiù malvage e ostili. Sarà un retaggio dei miei anni di scoutismo, ma per me non c’è avventura più grande che esplorare paesaggi (a me) sconosciuti. E forse è proprio in concomitanza con la perdita della frontiera e della libertà quasi assoluta che questa concede ai personaggi che il gioco è cambiato. Quando il dungeon e le terre selvagge hanno ceduto il passo alla “storia” abbiamo tutti perso qualcosa.
E ripensando alla mia insoddisfazione permanente nei confronti dei mondi da me stesso creati, credo di averne finalmente colto il motivo: i miei mondi sono sempre stati fin troppo civilizzati. Anche quando mi ripromettevo di non esagerare con le strade e le città, mi ritrovavo sempre stretto tra nazioni dai confini ormai stabiliti e fissati, in cui non c’era più nulla di nuovo da esplorare. Il fascino che i Forgotten Realms esercitavano su di me tanti anni fa (e che tuttora esercitano) è per esempio il fascino delle immense foreste della costa occidentale, delle rovine di Myth Drannor, di tutti i posti sconosciuti e pericolosissimi da “conquistare” con la spada e la magia. E con una mappa accurata!

Sono convinto, insomma, che la frontiera sia l’ambientazione naturale della Vecchia Scuola: che si tratti di un dungeon o delle terre selvagge, sempre di esplorazione si parla, di avventura, di azione, di battaglie e (si spera) di vittoria. Ma la frontiera non è mai clemente. Se t’infili in un dungeon senza l’equipaggiamento adatto vai incontro a morte certa, proprio come accade se ti trovi in mezzo alla natura, in balia degli elementi, e non hai con te ciò che serve a sopravvivere. Poi, per complicare le cose, noi ci aggiungiamo mostri orripilanti, magie strabilianti e spade taglienti, e nella nostra fantasia diventiamo gli eroi capaci di sopravvivere ad ogni pericolo e di sconfiggere ogni avversario.

Sempre che i dadi ci sorridano, s’intende...

venerdì 30 agosto 2013

Troppa fortuna

Forse è colpa di Elmore
se considero i chierici fondamentali...
Quando cominciai a progettare La Fortezza (la mia campagna di AD&D 1e, la prima dopo la riscoperta del gioco “vecchia scuola”) decisi di piazzare, nei pressi del villaggio che avrebbe fatto da base d’appoggio per il gruppo, un tempio di Tyche, la dea della fortuna. L’intento era duplice: fornire cure a pagamento in caso di necessità (avvelenamenti in primis: in AD&D gli effetti salva o muori sono distribuiti con grande generosità) e creare una specie di santuario, un rifugio più o meno sicuro dove i personaggi potessero ricevere aiuto e buoni consigli. Stabilii che il tempio sarebbe stato un luogo sacro piuttosto importante (per giustificare la presenza di chierici capaci di neutralizzare il veleno, per esempio) e una meta di pellegrinaggio (per giustificare la frequente presenza nei paraggi di giovani ed ardimentosi chierici di Tyche pronti ad unirsi al gruppo). Il patriarca locale avrebbe potuto anche fungere in extremis da committente per qualche avventura nel caso i personaggi si fossero trovati senza nulla da fare (eventualità quasi impossibile, ma mai sottovalutare i propri giocatori!), e la presenza di una struttura di una certa rilevanza per la gente dei dintorni mi avrebbe permesso di farne un polo d’attrazione per eventi futuri ancora tutti da decidere.

Fin qui tutto bene, ma poi, una volta iniziata la campagna vera e propria, mi resi conto che avevo commesso degli errori. Il primo fu probabilmente rappresentato dal povero Grigorji, il chierico PNG di Tyche che avevo aggiunto al gruppo (che allora consisteva in due soli personaggi giocanti). La tradizione di affiancare al gruppo una guida spirituale (meno ipocritamente detta anche “infermiere”; non sono mai riuscito a capire perché nei miei gruppi di gioco i chierici tendano sempre a scarseggiare, ma tant’è) è lunga e consolidata, e specialmente in questo frangente mi pareva particolarmente necessaria. Grigorji fece poi una brutta fine, fatto a pezzi da alcuni zombi che non era riuscito a scacciare, e solo la comparsa di Bór, il chierico nano (e personaggio giocante) ci risparmiò l’esigenza di un nuovo sacerdote PNG. Quando però Bór, dopo diverse gloriose sessioni, cadde vittima di uno stormo di uccelli stigei (i famigerati stirge), ecco tornare d’attualità la domanda: «Ma non è che al santuario c’è un chierico che si vuole unire al gruppo?».
Il secondo errore fu probabilmente nel concetto stesso del tempio come rifugio sicuro: con il procedere della campagna avevo la sensazione sempre più netta che il santuario fosse ormai diventato una specie di stampella per il gruppo, e che avrebbe finito per ostacolare l’iniziativa dei giocatori anziché sostenerla.

Questioni specifiche a parte (come per esempio la necessità di un chierico PNG nel gruppo, esigenza che sono disposto a soddisfare, specialmente con gruppi molto piccoli e/o giocatori alle prime armi), mi pare che il tempio di Tyche e i suoi sacerdoti abbiano incarnato un perfetto esempio di assistenzialismo da parte dal Master. Sono fermamente deciso a ridurre, nelle mie campagne future, il numero e la portata di simili aiuti, ma al tempo stesso sono restio ad eliminarli del tutto. Il gioco “vecchia scuola” è già abbastanza letale di per sé, con i suoi effetti salva o muori, i dadi lanciati davanti ai giocatori e l’intrinseca debolezza dei personaggi di basso livello: bandire ogni possibile fonte di soccorso per il gruppo mi sembra un po’ eccessivo. O forse ho il cuore troppo tenero?


E nelle vostre campagne come funziona?

martedì 6 agosto 2013

A me le mappe piacciono

Che siano semplici o complicate, le mappe sono
uno strumento fondamentale
A me le mappe piacciono. Mi piacciono le mappe del mondo reale così come quelle dei mondi fantastici, e mi diverto a tracciarle, a rimirarle e a pensare chi potrebbe abitare i luoghi che ho disegnato.

Le mappe dei dungeon non fanno eccezione, ovviamente, e nonostante ci siano molti siti che sfornano con abilità labirinti e cunicoli, preferisco mettermi al tavolo con carta quadrettata e matita e tracciare di mia mano i tunnel nei quali (si spera) i miei giocatori cercheranno l’avventura.
Una delle conseguenze di questa mia passione è l’importanza che per me hanno le mappe dei giocatori/personaggi: quei fogli di carta sui quali il cartografo di turno cerca d’interpretare le mie descrizioni degli ambienti che via via si presentano agli occhi del gruppo. A volte gli effetti sono esilaranti.
Predilezione personale a parte, quattro sono i motivi per cui, a mio parere, le mappe dei giocatori sono importanti:
  • Oggetto fisico: le mappe sono un oggetto fisico, l’unico in qualche modo condiviso tra i giocatori e i loro personaggi; sono un catalizzatore d’attenzione molto potente, e per non mortificare la loro importanza è secondo me fondamentale che siano proprio i giocatori a disegnarle. Poi il Master può essere generoso, fornendo misure dettagliate delle distanze e concedendo l’uso di fogli quadrettati, oppure (come ultimamente sta capitando a me) potrebbe limitarsi a misurazioni approssimative ed obbligare il cartografo di turno ad usare fogli completamente bianchi (a meno naturalmente che i personaggi non perdano tempo a misurare accuratamente tutte le distanze e non abbiano provveduto a quadrettare i loro fogli di pergamena...).
  • Problema logistico: ovvero: «Dopo questo bel bagno nel fiume sotterraneo, in che condizioni sarà la vostra mappa?». Tracciare una mappa in un dungeon richiede che un personaggio si dedichi con attenzione al faticoso compito; ciò significa che il personaggio deve avere le materie prime (pergamena, penna e inchiostro/carboncino) e luce sufficiente, e significa soprattutto che la mappa è costantemente a rischio di essere rovinata (chi ha parlato di palla di fuoco?), perduta, sminuzzata o addirittura mangiata da qualche creatura particolarmente indifferente a ciò che ingurgita. Nelle mie campagne il fatto che un giocatore stia disegnando la mappa comporta automaticamente la medesima attività da parte di un personaggio (non necessariamente il personaggio del cartografo), la cui sorte diventa quindi strettamente legata alla mappa stessa e che farà bene ad essere ben protetto dal resto del gruppo, se non si vuole smarrire la strada! 
  • Prova di bravura: una mappa è una prova di bravura da parte del cartografo, che deve interpretare al meglio le descrizioni del Master (descrizioni magari non accurate, come scrivevo poc’anzi, ma senz’altro non fallaci). È bello vedere come, dopo qualche sessione, il dungeon che si sta esplorando diventi un luogo familiare («Vi ricordate? Qui abbiamo affrontato i coboldi e l’ogre»), senza contare che una mappa accurata permette un ritorno più veloce in superficie, una migliore pianificazione degli itinerari da seguire (anche in caso di fuga ritirata strategica) e una preparazione più efficace di imboscate e assalti («Voi attaccate da questo corridoio, noi passiamo dalla porta a Sud e così prendiamo gli gnoll tra due fuochi!»).
  • Elemento d’esplorazione: forse il motivo principale per cui una mappa è così importante. Non è possibile esplorare senza tracciare una mappa, e l’esplorazione è uno dei cardini dell’avventura. La mancanza di esplorazione, quando la direzione presa è indifferente e l’unico obiettivo è ammazzare i mostri per rubare loro il tesoro, è ciò che caratterizza il Lato Oscuro della Vecchia Scuola: il dungeonbashing (termine che non mi sforzo nemmeno di tradurre. È il gemello cattivo, il Sith, l’antipaladino. È in sostanza uno dei motivi per cui la Vecchia Scuola viene ancor oggi vituperata e fraintesa. Non che basti una mappa per fare la Vecchia Scuola (e non è mia intenzione definire qui che cosa essa sia di preciso), ma l’elemento esplorativo ne è senz’altro parte imprescindibile, che si tratti di esplorazione di sotterranei o di terre selvagge (terre selvagge: non vi viene voglia, solo a sentirne parlare, di prendere in mano i dadi?).

Lunga vita alle mappe, quindi, e voi, Master, non lasciatevi impietosire dagli sguardi imploranti di qualche giocatore pigro: che prenda in mano carta e penna, se vuole uscire vivo dal dungeon con i tesori necessari per passare al prossimo livello!

giovedì 1 agosto 2013

GdR e musica

O meglio: musica durante le sessioni di gioco.
Ci ho provato in passato (un passato piuttosto remoto), ma il risultato, a mio avviso, non è stato per nulla soddisfacente. Sarà che con la musica ho in genere un rapporto “assoluto”: o la ascolto e praticamente non faccio nient’altro (se non magari dipingere qualche miniatura), o la ignoro del tutto, e allora è come se non ci fosse; resta il fatto però che le poche volte che ho provato ad inserire una colonna sonora durante una sessione di gioco ho finito per distrarmi e perdere il filo del discorso... il che non era proprio l’effetto che volevo ottenere!
Sarei curioso però di sapere come altri Master la pensano a riguardo, e come i loro gruppi reagiscono: se ci sono cambiamenti nello stile di gioco o se la presenza o meno di un sottofondo musicale è alla fin fine indifferente...


E parlando di musica vi lascio con un omaggio wagneriano: è la marcia funebre di Sigfrido, che quel drittone di Boorman ha usato per una delle scene più belle del suo indimenticabile Excalibur. Ascoltare per credere!


martedì 30 luglio 2013

Perché non Labyrinth Lord?

Già: perché no?

L’unico motivo che mi tratteneva dal fare un tentativo era il mio amore per AD&D 1e (amore sempreverde, peraltro), ma sono nel frattempo sopraggiunti sviluppi interessanti che mi hanno portato a rivedere la mia posizione. Il primo sviluppo è la lodevole iniziativa nata già da qualche mese sul forum della Roaring old school: con l’intento di celebrare i 40 anni di D&D (ricorrenza che cadrà l’anno prossimo), è stato proposto di produrre qualcosa in tema con il venerando gioco, magari pure un’avventura, e il sistema per l’eventuale progettazione potrebbe proprio essere LL.

Il secondo sviluppo riguarda il mio trasferimento in Germania per lavoro: dovrò per qualche anno abbandonare i miei gruppi italiani (sigh! Mi mancherete tutti quanti!), ma conto di non restare troppo a lungo lontano dalla scena ludica: del resto in Germania si gioca parecchio, ed entrare a far parte di un gruppo locale non mi pare impresa impossibile (senza contare che sarebbe un ottimo esercizio per migliorare il mio tedesco...).
Chi nota le differenze?
Ho cominciato da qualche tempo a frequentare forum e blog d’oltralpe, e ho scoperto che esiste una traduzione tedesca di LL. Mi sono affrettato a procurarmi il pdf, che in questi giorni sto leggendo avidamente, e ho deciso, come allenamento al “nuovo” sistema, di riscrivere per LL una delle mie avventure più recenti, magari la stessa Roccia Dolente (la versione runica dovrà aspettare, temo).
Non sarà impresa particolarmente difficile, ma il tempo per ora scarseggia, quindi procederò molto lentamente.


Ho anche scaricato, in inglese, la versione advanced del gioco, ma non l’ho ancora letta. Qualcuno più edotto di me sa dirmi se si tratta di un’opera utile o se posso tranquillamente farne a meno?

venerdì 19 luglio 2013

Io e RuneQuest

Era il 22 dicembre 1987 (a quei tempi annotavo data d’acquisto e costo sui manuali che compravo) quando acquistai, al Centro Gioco Educativo di Genova (ormai da lungo tempo scomparso, che io sappia) la mia copia di RuneQuest. Prezzo: 33.000 lire.
Si trattava della versione standard della terza edizione, e per me, che fino ad allora (ma conoscevo i giochi di ruolo da un annetto appena) avevo giocato solo ad Uno sguardo nel buio e D&D set base, fu una grande scoperta. Mi affascinarono subito il carattere “barbarico” e “antico” dell’ambientazione: gli esempi di gioco riguardavano un certo Cormac, un Pitto della Caledonia, che si aggirava in un’Europa dal sapore tardoimperiale assieme ai suoi amici Signy Freyasdotter, Churchak lo Scita e Nikolos di Bisanzio. Non c’erano né livelli né classi di personaggio, e il combattimento era rapido e brutale. Ne fui incantato, ma per anni non riuscii a convincere i miei amici a provarlo; fu soltanto sulla scia dei romanzi della Legione perduta di Turtledove che ebbi la ventura di giocare a RuneQuest proprio in un’ambientazione ad essi ispirata, ma i miei giocatori non furono entusiasti del sistema di combattimento e del fatto che dopo due o tre sessioni i loro personaggi fossero tutti mancanti di un braccio o di una gamba (menomazioni dovute più che altro alla mia inesperienza, che mi portava a giocare RQ come D&D), e la campagna morì lì.

Quanto mi era piaciuto questo romanzo...

Nel corso degli anni finii naturalmente per incappare in altri giochi che utilizzavano l’ottimo sistema Chaosium: Call of Cthulhu, Stormbringer, Pendragon (Ah! Pendragon!), ma RQ rimase sul suo scaffale senza più scenderne se non per una breve campagna (anche questa mai terminata, ma almeno condotta oltre le prime tre sessioni) ispirata all’Iliade e all’Odissea in salsa fantasy-antica.
Nel 2007 acquistai, più per curiosità che per altro, Heroquest (il gioco di ruolo di Robin Laws e Greg Stafford). Mi piacque e anche stavolta ne uscì una serie di avventure (ormai dovrei smettere di usare il termine “campagna”), i cui protagonisti erano i giovani di una tribù barbara alla ricerca di un modo per salvare la propria gente dalla minaccia degli Iperboreani (avevo appena finito di leggermi l’integrale dei racconti di Conan, e il nome mi aveva colpito); ci furono episodi e personaggi memorabili, tra i quali Piseagh, lo sfigato del villaggio che noi tutti ci raffiguravamo come Rick Moranis in occhiali e mutandoni di pelliccia, ma qualcosa non mi convinceva nel sistema, e avevo soprattutto l’impressione che scindere il gioco dalla sua ambientazione originale (Glorantha), così ricca e complessa (e della quale non sapevo praticamente nulla: nella mia standard edition di RQ non se ne faceva praticamente menzione) lo impoverisse eccessivamente. Così finì anche quell’esperienza, e solo l’anno scorso ripresi finalmente in mano i miei manuali acquistati tanti anni fa, con l’intenzione di capire se fosse possibile utilizzarli per una campagna vera e propria. La risposta che mi diedi fu però negativa: l’edizione standard è davvero scarna, specialmente nella descrizione della magia, e avrei dovuto lavorarci troppo su per avere un sistema adeguato. Meglio il vecchio e fidatissimo AD&D, per il quale avevo peraltro già cominciato a progettare quella che sarebbe poi divenuta la Fortezza, e RQ tornò quindi nell’oblio.

Heroquest RPG!
Stavo dimenticando di citare qualche avventura giocata a RQII (quello della Mongoose): anche in questo caso fui inizialmente attratto dal sistema, ma poi, all’atto pratico, rimasi poco soddisfatto del combattimento (le manovre in primis) e della magia (la magia spiritica venne praticamente riscritta in un articolo apparso su Signs&Portents, le rivista ufficiale della Mongoose), e l’esperimento non durò a lungo.
Ora mi sono procurato la quarta edizione di Basic Roleplaying, e mi è tornata voglia di provarne il sistema. Temo che ciò non avverrà molto presto (i miei orizzonti ludici sono foschi, ma ciò merita un post tutto suo... sigh), tuttavia la curiosità resta.
Ne varrà la pena??


giovedì 27 giugno 2013

Astrazioni gygaxiane: tempo e round

A me il round di un minuto piace un sacco.
So che ci sono molti detrattori di questa trovata, e in effetti lo stesso D&D Basic (in entrambe le edizioni) utilizza invece round di 10 secondi l’uno. In AD&D un round dura un intero minuto (mentre il turno resta di 10 minuti), e pur sembrando questo a qualcuno un tempo eccessivo, a me sembra che sia perfettamente in linea con la grande astrazione che è il sistema di combattimento.
Gary Gygax si scaglia più volte contro il realismo (come si è detto parlando dei punti ferita), e allora perché non considerare che quel minuto davvero possa “irrealisticamente” rappresentare il tempo necessario ad estrarre un’arma, scambiare qualche colpo con un avversario, tirare un momento il fiato e magari muoversi di qualche metro? So per esperienza che i combattimenti “reali” tendono ad essere brevi e brutali (e terribilmente stancanti), ma in fin dei conti qual è il problema?

Le edizioni più recenti ci hanno tra l’altro abituati ad infarcire quei round di 10 secondi di una sequenza improbabile di azioni sempre più spettacolari; se accetto ciò (e non vedo perché non dovrei farlo, se decidessi di usare uno dei suddetti sistemi), allora perché non accettare il round di un minuto ad AD&D?
Il dubbio può semmai sorgere in relazione alle distanze di movimento: un personaggio senza armatura può muovere in un round (un minuto) solo 36m, il che è tanto per certi versi (con 36m di movimento arrivi quasi dove vuoi sul campo di battaglia, presupponendo uno scontro in spazi ridotti, come per esempio un dungeon), ma poco per altri (36m in un minuto?? Ma cos’è, una lumaca?); le distanze poi si riducono a seconda dell’armatura indossata: 27m con cotta di maglia o armatura di scaglie, 18m con armatura a bande o armatura di piastre e così via.
Sarà anche impacciato, ma forse riesce a
percorrere più di 18m in un minuto...
Qui ci si addentra però in un altro terreno minato, il movimento, appunto, sul quale tornerò senz’altro in futuro (qualcuno ha provato a testare empiricamente il sistema di movimento di AD&D, con risultati esilaranti).

Un minuto di round permette tra l’altro ai personaggi di intraprendere azioni più complesse senza necessità di suddividerle tra diversi segmenti di tempo (per esempio scassinare una serratura, uccidere un nemico addormentato, estrarre e caricare una balestra); personalmente mi piace questa scansione “a maglie larghe”, e mi sembra che conceda più libertà di scelta ai giocatori, che non si trovano prigionieri dell’implacabile meccanismo dei round di dieci secondi.

È ovvio che sistemi diversi propongano diverse suddivisioni del tempo d’azione (che cosa sarebbe il turbinante combattimento di The Riddle of Steel senza i round di 1-2 secondi?), ma più gioco ad AD&D, più mi convinco che i round lunghi non sono un errore, bensì una caratteristica che rende il gioco molto più interessante.

sabato 25 maggio 2013

Astrazioni gygaxiane: punti ferita


Tanto per prendere di petto l’astrazione più iconica (e vituperata) di AD&D, partiamo proprio dai punti
ferita. Quando lessi il manuale di The Riddle of Steel, diversi anni fa, fui subito d’accordo con ciò che Jacob Norwood, l’autore, scriveva nella postfazione. Norwood racconta di un episodio di gioco durante il quale il suo guerriero, nonostante le sette frecce che aveva in corpo ed un salto di 30m, fosse allegramente trotterellato via dal campo di battaglia con ancora un po’ di punti ferita rimanenti; questo aveva per lui rappresentato il punto di svolta, e da allora non era più riuscito a giocare a quel sistema (che non viene mai nominato, ma credo possiamo tutti intuire quale fosse). Era proprio quello uno degli aspetti che di AD&D/D&D (credo che a quei tempi stessi giocando alla 3.0) mi lasciavano maggiormente perplesso, e in effetti la scoperta di TRoS rappresentò una pietra miliare per lo stile di gioco del mio gruppo.
C’è poi chi invece apprezza l’astrazione dei punti ferita, considerandola semplicemente parte di quella più grande, fondamentale astrazione che nel gioco “vecchia scuola” è la gestione delle risorse: il numero di punti ferita a tua disposizione ti dà un’idea dei pericoli che puoi affrontare.

A parer mio, la chiave sta proprio qui: i punti ferita sono solo un’astrazione (una della tante di AD&D), e non rappresentano che un misto di resistenza fisica, di coraggio, di determinazione e di capacità di evitare i danni più gravi: fino al momento in cui perde gli ultimi punti ferita, il personaggio potrebbe avere accumulato lividi, escoriazioni e contusioni, ma non avrà certo subito alcuna ferita degna di nota; solo il colpo che lo porta a zero (o meno) significa una ferita vera e propria. Una spiegazione viene proprio da Gary Gygax (AD&D DMG, pag. 61), il quale si scaglia contro i sistemi “realistici” e difende a spada tratta non solo i punti ferita, ma anche l’applicazione di colpi critici, che “riducono considerevolmente l’aspettativa di vita dei personaggi”.
Come dargli torto?
Con la riscoperta di AD&D il senso dei punti ferita mi è stato improvvisamente chiaro. Che non avessi letto bene le regole ai tempi in cui avevo cominciato a giocarci? O magari mi ero lasciato influenzare dall’abitudine di considerare i punti ferita una mera capacità di assorbire i colpi; una semplificazione che ha provocato molte conseguenze nefaste. Se adesso un personaggio volesse buttarsi da una rupe alta 30m non mi preoccuperei di tirare il danno: gli direi direttamente che è morto; venti (ma anche dieci) anni fa mi sarei sentito in dovere di calcolare i dadi di danno subiti, e magari, proprio come il guerriero di Jacob Norwood, il personaggio se la sarebbe cavata con la perdita di una trentina di punti ferita e se ne sarebbe potuto andare saltellando senza nemmeno una minima slogatura alla caviglia!

Pur essendo un sostenitore dei punti ferita, però, non sono cieco di fronte ai paradossi che ne possono nascere. Ne ho individuati tre, che sono a mio avviso i più vistosi, ma ce ne saranno indubbiamente anche altri.
·         Morte immediata. Per quanto tu possa essere coraggioso, fisicamente prestante, ferreamente determinato ed esperto nell’arte della guerra, essere passato da parte a parte da una spada è di solito un’esperienza mortale. Non in AD&D. Un avversario immobilizzato o privo di conoscenza può essere ucciso in un sol colpo a prescindere dai suoi punti ferita, è vero, ma altrimenti gli unici capaci di aggirare l’ostacolo sono i ladri (con l’attacco furtivo, che moltiplica i danni inflitti) e gli assassini (le cui percentuali di successo rappresentano però l’esecuzione di un intero piano di assassinio, non un singolo colpo mortale). Per tutti gli altri non esistono colpi letali, e la morte immediata (un’eventualità che può rendere il gioco interessante o ledere un’accurata gestione delle risorse, secondo i punti di vista) è appannaggio esclusivo dei non infrequenti effetti “Save or Die” di cui il gioco è particolarmente ben fornito.
·         Proliferazione dei punti ferita. Nella prima versione del gioco, quella del 1974, tutte e tre le classi usano d6 per determinare i punti ferita (guerrieri e chierici hanno all’incirca un dado per livello, i maghi più o meno la metà). È vero che tutte le armi e la maggior parte dei mostri infliggono 1d6 di danno, senza distinzioni, ma in generale i punti ferita a disposizione sono molti meno. In AD&D i guerrieri arrivano a tirare 1d10 per i punti ferita e il bonus dovuto ad un alto punteggio di costituzione è più elevato, ma nonostante la crescita del danno inflitto dalle armi e dai mostri, la mia sensazione è che il concetto dei punti ferita sia sempre più astratto e meno comprensibile man mano che i livelli aumentano e che la capacità di resistenza dei personaggi assume connotazioni eroiche. Sarà una goccia nel mare, ma sto seriamente pensando di eliminare la regola casalinga che conferisce ai personaggi di primo livello il massimo di punti ferita, e quell’altra tacita consuetudine che permette ai giocatori di ritirare gli “uno” dei dadi vita...
·         Recupero. Nella DMG (pag. 82) Gary Gygax è molto severo per quanto riguarda il recupero di punti ferita: uno per giorno di completo riposo, a prescindere dal livello del personaggio, e solo alla fine della seconda settimana chi beneficia di un bonus di Costituzione può applicarlo ai punti ferita così recuperati. Quattro settimane di riposo completo sono comunque sufficienti per recuperare tutti i punti ferita perduti. La guarigione magica è senz’altro più rapida ed efficace, e l’idea che gli incantesimi curativi dei chierici
rappresentino anche un rafforzamento della fede di colui che viene guarito mi sembra molto appropriato. I problemi nascono, ovviamente, quando il chierico e il personaggio ferito sono di fedi diverse: consideriamo pure che un personaggio possa beneficiare delle orazioni di un chierico di un dio “compatibile” con il proprio (magari perché teologicamente vicino, magari perché di allineamento non troppo dissimile); che cosa avviene però se un chierico malvagio cura un personaggio buono? Davvero quest’ultimo può trarre beneficio dalle invocazioni ad una divinità oscura? O magari recupererà un quantitativo inferiore di punti ferita? Qui però occorrerebbe una tabella che riportasse l’efficacia delle cure di ciascun dio nei confronti dei fedeli degli altri dei, e la faccenda si complicherebbe enormemente (e inutilmente). Personalmente, per ovviare alla lenta guarigione naturale mi affido alla regola casalinga che prevede il recupero di un punto ferita per livello per ogni notte di riposo (e il doppio per ogni giorno intero), e a quella che concede ad ogni personaggio una sosta al giorno (venti minuti circa) al fine di riposarsi e rimettersi in forze: ciò restituisce d6 punti ferita perduti. Per i chierici non faccio invece distinzione di fede, ed evito così di complicarmi (e di complicare loro) la vita.

Nonostante queste incongruenze, ostacoli non certo insormontabili, resto un convinto sostenitore dei punti ferita, quantomeno in uno stile di gioco “vecchia scuola”, e condivido l’opinione secondo la quale essi permettono una migliore gestione delle risorse dei personaggi. Quanto alla necessità d’instillare un salutare senso d’incertezza nei giocatori, in modo tale che non diano per scontata la sopravvivenza del loro personaggio di decimo livello solo perché questo è al pieno dei punti ferita, il Monster Manual è zeppo di affascinanti creature che paralizzano, avvelenano, pietrificano, risucchiano livelli, soffocano o comunque uccidono orribilmente infischiandosene allegramente del livello della loro vittima e del suo stato di salute: un tiro salvezza (e a volte nemmeno quello) e via!
Meno male che per creare un nuovo personaggio bastano dieci minuti...

martedì 16 aprile 2013

ROLEMASTER&Dragons


Rimandando le considerazioni relative alle regole alla discussione aperta su The Roaring Old School, c’è comunque un altro aspetto che mi interessa: quanto è adatto RM (o MERP, o MM/RML/MERPMaster; insomma: chiamiamolo RM per comodità) ad una campagna “sandbox” (o sabbionaia, che mi piace di più)?
Quando, da ragazzino, cominciai a giocare a MERP, avevo come unico parametro D&D BECMI (e forse un po’ di AD&D), e le mie avventure erano tutte incentrate sui combattimenti; tanto che dovetti inventare qualche modifica per l’animista, che un coraggioso giocatore aveva scelto come professione per il suo personaggio, e ricordo che lo resi simile ad un monaco guerriero, in modo da conferirgli un ruolo attivo durante i frequentissimi scontri. C’era poi la questione delle ferite: un colpo sfortunato può bloccare un personaggio per settimane o addirittura mesi, specialmente ai bassi livelli, e ciò rallentava inevitabilmente i progressi di tutto il gruppo, nonché la storia che avevo inventato e che vedevo incepparsi per colpa di uno stupido guerriero con il braccio rotto...
Altri tempi.

Ora che ho (ri)scoperto dungeon e sabbionaie mi chiedo se si possa utilizzare RM come sistema per una campagna in stile “vecchia scuola”, e ad essere sincero non vedo alcun motivo per cui ciò non dovrebbe essere possibile!
Riassumo i parametri che più mi interessano (ce ne sono senza dubbio altri, ma per carità: non è mia intenzione definire che cosa sia la vecchia scuola!):

·         Libertà di scelta dei personaggi
·         Luoghi da esplorare
·         Sfide non bilanciate
·         Gestione delle risorse
·         Un mondo pericoloso
·         Immediatezza del sistema di gioco
·         Un certo humor un po’ tetro

Avventure in vista!
In che rapporti è RM con questi parametri? Potrebbero essere rispettati in una campagna di RM vecchio stile?
Ecco le risposte che mi sono dato.
- La libertà di scelta dei personaggi non dipende tanto dal sistema quanto dallo stile della campagna; mi sembra comunque che in RM non esistano elementi intrinseci che la ostacolano, e quindi la risposta è sì.
- I luoghi da esplorare, oltre ad essere la quintessenza dell’avventura, offrono molte occasioni di utilizzare le abilità dei personaggi, e di conseguenza di accumulare punti esperienza: scalare, cavalcare, percezione, linguaggi (solo per citarne alcune). La risposta è sì.
- Le sfide non bilanciate sono una delle mie passioni: i rischi ai quali i personaggi vanno incontro (mostri, trappole, e così via) non sono bilanciati secondo il livello medio del gruppo, bensì hanno un grado di pericolosità indipendente; spetta ai giocatori capire se la sfida può essere affrontata, oppure se è meglio rimandare per il momento, in attesa che i personaggi abbiano macinato qualche livello in più... RM si presta benissimo ad un simile approccio, forse meglio ancora di AD&D: in fin dei conti, per quanto sia assai poco probabile, anche il personaggio più scarso e miserando può avere un colpo di fortuna inaudito ed uccidere in un colpo solo il signore dei balrog!* La risposta è sì.
In teoria puoi anche ucciderlo in un colpo solo. In teoria.
- La gestione delle risorse è uno degli elementi portanti della vecchia scuola, e RM, nella sua precisione, ben si presta al calcolo dei viveri, del peso, delle torce e delle pinte d’olio; il sistema delle ferite, poi, prevede tempi lunghi di guarigione (fatto salvo l’utilizzo della magia per velocizzare il recupero), e questo non è che un elemento in più del quale tenere conto se si vuole raggiungere l’agognato cinquantesimo livello. La risposta è dunque sì!
- La pericolosità del mondo deriva sia dall’assenza di bilanciamento delle sfide che dalla consapevolezza di non godere di alcuna protezione “celeste”: il Master tira i dadi in pubblico, e la morte è sempre in agguato. RM asseconda questo tipo di gioco? Senz’altro sì.
- L’immediatezza del sistema di gioco è il tasto dolente di RM: non si tratta tanto dello svolgimento delle sessioni, quanto della creazione dei personaggi e del loro passaggio di livello. RM è un sistema scorrevole (le temute tabelle sono lì proprio per quello), ma s’inceppa nella vastità delle scelte che propone ai giocatori, e nelle quali molti si perdono. È proprio per sveltire queste fasi che è nata l’idea di una revisione del sistema, ma per questo argomento, come scrivevo all’inizio, la sede è un’altra. La risposta che mi sono dato è comunque sì.
- La presenza di humor, tetro o meno, dipende soprattutto dal Master, ma siccome si tratta di uno degli elementi che più mi divertono nei giochi di ruolo, non me la sono sentito di escluderlo (e RM, con risultati come “ti colpisci all’inguine e il tuo avversario resta stordito per 3 round dalle risate” ci mette del suo). La risposta è ovviamente sì.

A questo punto non resta che l’esperienza diretta. Avevo già scritto della mia intenzione di “convertire” a RM un’avventura classica di D&D o AD&D, e proprio a questo esercizio proverò a dedicarmi non appena ne avrò l’occasione. Non credo che sarà difficile, ma occorrerà senz’altro del tempo.
E poi magari riuscirò anche a convincere qualche amico a giocarci!

* È ovviamente vero anche l’opposto: il più penoso dei goblin, armato con un coltello da burro, può in teoria accopparti in un solo, fortunato colpo il tuo formidabile guerriero, che hai impiegato anni a far arrivare al 50° livello... quanto amo Rolemaster!

venerdì 29 marzo 2013

Semiumani, livelli e composizione del gruppo


Proprio di recente, in seguito ad uno scambio di mail con i miei amici, mi sono soffermato a riflettere sulla
questione dei semiumani in AD&D (e l’argomento può ovviamente essere esteso ad altri sistemi).
Non credo occorra ripetere che AD&D per me significhi solo la prima edizione!

Veniamo al dunque: i semiumani hanno degli indubbi vantaggi sugli umani (classi multiple, abilità razziali, bonus a colpire, bonus alla Classe Armatura e così via), compensati da una più o meno severa limitazione al livello massimo raggiungibile in determinate classi, nonché l’esclusione tout court da alcune di esse. Durante gli anni ruggenti delle campagne ad AD&D con gli amici, ero solito alzare notevolmente i livelli massimi raggiungibili dai semiumani, e permettere loro l’accesso a quasi tutte le classi. A quei tempi nessuno avrebbe scelto una razza soltanto per motivi tecnici (per ottenere qualche bonus, insomma; sì, eravamo degli idealisti ludici), bensì per ragioni d’interpretazione, e mi sembrava davvero poco corretto che un personaggio scelto secondo questi criteri subisse una penalità rispetto ad un personaggio umano.
A modo suo, anche Aragorn è un umano!
Era in vigore anche un’altra regola, ispirata dall’insistenza con cui Gary, nella DMG, sottolineava la necessità di avere un gruppo “umanocentrico”: non più di metà del gruppo può essere composto da semiumani. In questo modo si manteneva un equilibrio interno, e al tempo stesso le campagne restavano in sintonia con il mondo fantasy nel quale ci muovevamo (che era essenzialmente umanocentrico). Il gruppo di soli semiumani era riservato, nella nostra fantasia, ad un’ipotetica campagna specificamente monorazziale: ne giocammo una sola, breve ma divertentissima, che aveva come oggetto un gruppo di nani di ritorno a casa in un mondo devastato dalle guerre e da un’imminente catastrofe che l’avrebbe distrutto di lì a poco. Fu davvero una storia epica, ma come sistema scegliemmo WFRP 2e...
Il gioco comunque funzionava bene nonostante le modifiche, e i semiumani non erano considerati indebitamente avvantaggiati.

E poi ci sono loro...

Di ritorno ad AD&D dopo tanti anni, e dopo aver riletto con attenzione la DMG (quante regole avevo tralasciato in gioventù!), decisi che l’innalzamento dei limiti di livello sarebbe stata una delle poche modifiche da adottare (assieme alla specializzazione nelle armi, che però fu abolita in tempi brevissimi).
Per svariati motivi, nessuna delle campagne da me cominciate ad AD&D lo scorso anno aveva la pretesa di essere tale, e così lasciai ogni volta che i giocatori scegliessero liberamente la classe e la razza (fatti salvi i requisiti minimi dell’una e dell’altra e le classi multiple disponibili, queste sì limitate secondo i dettami del PH); mi trovai così davanti a gruppi decisamente non umanocentrici. Diversi giocatori preferivano fare l’elfo o il mezzelfo per avere i bonus conferiti da queste razze, e sia la mancanza di limiti di livello che l’approccio da “avventura singola” rendevano tale scelta decisamente vantaggiosa (sì, è vero: le giocatrici tendono a fare comunque le elfe, e solitamente non per i bonus; forse anche questo mistero della psiche femminile richiederebbe un post). Io rimasi ingenuamente stupito: come si può scegliere una razza per il solo, arido, beneficio tecnico? Mi tornavano alla mente i consigli del mio amico Andrea, il quale insisteva che a Baldur’s Gate creassi un personaggio elfo perché più forte, e poi lo trattassi alla stregua di un umano, a partire dal ritratto; io per parte mia mi ritraevo con obbrobrio da una simile, empia prospettiva...

Ed ecco profilarsi un motivo per i severi limiti imposti ai semiumani dal PH: è una questione di bilanciamento (sorpresa!).
Nelle mie prossime campagne, quindi:
·          In un gruppo non ci potranno essere più semiumani che umani.
·          Queste saranno le limitazioni di classe e livello:
CLASSI ACCESSIBILI
Classe
Nani
Elfi
Gnomi
Mezzelfi
Halfling
Mezzorchi
Umani
Allineamento
CHIERICO
No
Qualsiasi
Druido
No
No
No
No
Neutrale puro
GUERRIERO
Qualsiasi
Paladino
No
No
No
No
No
No
Legale buono
Ranger
No
No
No
No
Qualsiasi buono
MAGO
No
No
No
No
Qualsiasi
Illusionista
No
No
No
No
No
Qualsiasi
LADRO
Qualsiasi
Assassino
No
Qualsiasi malvagio

LIMITAZIONI DI LIVELLO
Classe
Nani
Elfi
Gnomi
Mezzelfi
Halfling
Mezzorchi
CHIERICO
8
-
7
5
6
4
Druido
-
7
-
IL
-
-
GUERRIERO
9
7
6
8
6
10
Paladino
-
-
-
-
-
-
Ranger
-
8
-
8
-
-
MAGO
-
11
-
8
-
-
Illusionista
-
-
7
-
-
-
LADRO
IL
IL
IL
IL
IL
8
Assassino
9
10
8
11
-
IL

·          I semiumani non multiclasse, con l’esclusione degli assassini, potranno elevare di due il livello massimo raggiungibile (questa è forse l’unica regola di Unearthed Arcana che ho deciso di applicare).
·         Queste saranno le classi multiple accessibili:
o   Umani – nessuna classe multipla.
o   Elfi – guerriero/mago, guerriero/ladro, mago/ladro, guerriero/mago/ladro.
o   Nani – guerriero/chierico, guerriero/ladro, chierico/ladro.
o   Mezzelfi – chierico/guerriero, chierico/ranger, chierico/mago, chierico/ladro, guerriero/mago, guerriero/ladro, mago/ladro, chierico/mago/ladro, chierico/guerriero/ladro, chierico/guerriero/mago, guerriero/mago/ladro.
o   Gnomi – chierico/guerriero, chierico/ladro, chierico/illusionista, guerriero/illusionista, guerriero/ladro, ladro/illusionista, chierico/ladro/guerriero, chierico/ladro/illusionista, guerriero/ladro/illusionista.
o   Halfling – chierico/ladro, guerriero/ladro, chierico/guerriero.
o   Mezzorchi – guerriero/chierico, guerriero/ladro, chierico/ladro, chierico/assassino.

Non è mia intenzione applicare retroattivamente queste regole alle campagne in corso (ma se tutti i giocatori me lo chiedessero a gran voce... non so bene perché, ma tendo ad escludere una simile eventualità); sono però convinto che si tratti di una misura necessaria a non penalizzare i poveri giocatori di personaggi umani.
E qui concludo, ma, come sempre, ogni parere è il benvenuto!